sabato 26 febbraio 2011

Donne in pubblicità: vestite e valorizzate - più che su giornali e tv

La percezione della "pubblicità" piena di donne seminude per pubblicizzare i prodotti è frutto di un errore percettivo: con l'eccezione delle riviste femminili, se si prende una rivista non femminile e si contano le pagine pubblicitarie con donne seminude queste sono pochissime e per di più sono in genere realizzate da fotografi senza agenzia pubblicitaria oppure da agenzie pubblicitarie di secondo piano.


Ad esempio ho preso GQ Italia, febbraio 2011, una rivista che contiene sempre numerose foto erotiche.
Le inserzioni pubblicitarie sono 47. Di queste, la maggioranza (42 su 47) non contiene neppure una figura femminile


Ripeto: su GQ Italia, rivista per giovanotti amanti delle donne, 42 inserzioni pubblicitarie su 47 NON contengono neppure una figura femminile.


Quelle che contengono figure femminili sono: 



  • Gucci, con due modelle e un modello, vestiti da testa a piedi ma vagamente suggestive. 
  • Diesel: tre ragazzi, di cui due con la camicia aperta e due ragazze, di cui una con gilet aperto.
  • BMW: due uomini (un ciclista e un golfista) e una ragazza, perfettamente vestita da runner.
  • Roy Rogers: un ragazzo e una ragazza. La ragazza ha un giubbetto corto che lascia intravedere l'ombelico.
  • Yamamay (che vende abbigliamento intimo): un ragazzo in mutande e una ragazza in mutandine e reggiseno.



Ovvero 5 casi su 47 annunci, che per la maggior parte rappresentavano o il prodotto da solo, o il prodotto in qualche maniera abbinato a uno o più uomini (in un paio di casi a torso nudo. Gli uomini).


Le sole foto di nudo in quel numero di GQ sono nei contenuti redazionali.


(chi vuole smentirmi, è pregato di procurarsi quel numero di GQ e rifare i conti. E poi fare analoghi conti anche su Panorama, l'Espresso, Vanity Fair, eccetera. E poi contare i minuti di pubblicità con nudo in tv in proporzione ai minuti con ballerine in mutande e vallette in microgonna).


In realtà la pubblicità andrebbe guardata con molto più rispetto, per questi motivi:



  1. Nelle agenzie le donne sono spesso la maggioranza e spesso hanno ruoli dirigenziali  (molte agenzie hanno più collaboratori donne che uomini: io una volta ho lavorato per un anno in un'agenzia che aveva almeno 12 donne contro 3 uomini, me compreso; e il direttore dell'agenzia era una donna; in tutti i casi la percentuale di donne che lavorano in pubblicità è molto alta).
  2. Le campagne pubblicitarie con la classica donna nuda spesso sono realizzate da aziende che si rivolgono direttamente a un fotografo, il quale è spesso un eccellente fotografo ma, salvo rare eccezioni, in genere non ha competenze né di marketing né di comunicazione (ad esempio, tre anni fa m'è capitato di avere a che fare con un fotografo che, quasi totalmente inesperto di web, essendo amico del titolare dell'azienda committente voleva dire la sua sui testi del sito che avevo scritto. Siccome io, che ho scarse competenze di fotografia, non mi azzarderei a guidare la manina di un fotografo mentre inquadra un oggetto nel modo con cui quel fotografo correggeva parola per parola i miei testi, ho gentilmente interrotto il lavoro e la collaborazione; il sito è andato online con un anno di ritardo).
  3. Molte campagne stampa e di affissioni con donne nude o seminude sono per prodotti di abbigliamento e moda, e sono realizzate da fotografi e non da pubblicitari (vedi punto 2). (Altra testimonianza personale: quindici anni fa ebbi occasione di lavorare con un importante nome della moda italiana, un grande creatore di stile. In fatto di marketing non capiva letteralmente niente e inoltre cambiava diametralmente orientamento da una riunione all'altra. Anche in quel caso interruppi la collaborazione.)
  4. Il nudo e semi-nudo femminile viene usato con una certa frequenza, è vero, per cosmetici, abbigliamento intimo e costumi da bagno, ma si tratta di prodotti per donne acquistati da donne. Se si guardano analoghi prodotti maschili si possono notare analoghi trattamenti del corpo maschile, ma per esigenze di rappresentazione del prodotto (esempio, nello spot Proraso si intravedono nudi maschili).
  5. L'80% degli acquisti sono decisi dalle donne. Sarebbe autolesionista proporre immagini femminili offensive. E infatti quelle immagini in genere NON sono prodotte da pubblicitari professionisti ma da dilettanti (vedi punti 1, 2 e 3) oppure da eccellenti professionisti nel loro campo (ad esempio i fotografi) ma che non sempre hanno anche le competenze di comunicazione.
  6. Tutti i pubblicitari (eccetto i dilettanti) sanno che se vuoi parlare alle donne rappresenti donne, e se vuoi parlare agli uomini rappresenti uomini. Una donna nuda per una schiuma da barba o per martello pneumatico in genere è un errore tecnico (che infatti viene compiuto spesso da dilettanti), così come un uomo nudo per abbigliamento intimo femminile è un errore altrettanto stupido.

Infine: la libertà di stampa è finanziata da due attori: la pubblicità e i lettori. Entrambi fondamentali.

Molti dei problemi politici italiani di oggi dipendono dal fatto che tutti i maggiori partiti politici italiani negli ultimi quarant'anni non hanno capito l'importanza fondamentale della pubblicità sia come risorsa economica sia come fondamento della libertà di parola (se la sua gestione non è monopolista).

È la pubblicità che paga in gran parte gli stipendi della maggior parte degli editori della carta stampata e della tv (quelli che non vivono di provvidenze pubbliche). Ed è la pubblicità l'indispensabile supporto della libertà di stampa.

Qui i commenti sullo stesso tema di Massimo Guastini, Presidente dell' ADCI Art Directors Club Italiano, Pasquale Diaferia, pubblicitario e giornalista, il blog Ted Disbanded.


Aggiornamento: Ecco qui un caso in cui il problema dell'immagine della donna rappresentata dalla stampa dipende totalmente da scelte editoriali, in parte anche inconsapevoli: Yoga Journal USA, testata il cui pubblico è in gran parte femminile, la redazione anche, e l'asservimento al sistema mediatico-pubblicitario inferiore rispetto ad altre testate, senza contare il fatto che il grosso delle entrate di Yoga Journal USA dipende dagli abbonamenti (circa 270.000 abbonati paganti su una diffusione di circa 300.000 copie) e non dalla pubblicità.

venerdì 25 febbraio 2011

Creativi e freelance su Twitter

L'ADCI Art Directors Club Italiano sta cercando creativi e freelance (sia chi lavora in agenzia, sia chi lavora in forma indipendente) per creare delle liste pubbliche su Twitter, secondo questa formula:

Agenzie italiane su Twitter

Se lavori in comunicazione posta qui come commento oppure manda un tweet a @adcinews su Twitter con queste due informazioni:

indirizzo Twitter  - ruolo

per il ruolo scegli fra:

  • copywriter (compresi web writer, redattori online ecc)
  • art director
  • fotografo
  • regista
  • digital professional (compresi web designer, seo marketer, social media professional ecc)


Sono macrocategorie un po' imprecise, ma lo strumento delle liste di Twitter è un po' limitato. Se pensi che possa esserci qualche macrocategoria che abbiamo trascurato, proponila.

@adcinews è l'indirizzo Twitter dell'ADCI Art Directors Club Italiano

lunedì 21 febbraio 2011

Testimonianza sulla comunicazione digitale

Su Bad Avenue una testimonianza interessantissima sulla comunicazione digitale. Vale la pena di leggere e meditare.

Sintetizzo in due righe. Il problema posto da questa testimonianza è: la comunicazione non è più la grande idea; è la gestione di processi di comunicazione che sono diventati bi-direzionali.

Censimento dei blog della pubblicità e dei creativi

Ho proposto al nuovo Consiglio dell'Art Directors Club Italiano di realizzare un censimento informale dei blog dei creativi della pubblicità e della comunicazione. Lo scopo è quello di creare un blogroll di riferimento per il futuro blog dell'ADCI, se l'elenco non è sterminato. Se l'elenco diventasse eccessivamente lungo, studieremo una soluzione ad hoc, dalla directory articolata al database consultabile.

Si tratta di un progetto aperto: iniziamo e poi vediamo cosa ne salta fuori. Molto probabilmente ne dovrebbe saltar fuori una nuova interconnessione fra creativi e chi si occupa di comunicazione.

Per partecipare basta scrivere nei commenti questi dati:
Nome del blog:
Url home page: http://
Autore o co-autori:
Attività dell'autore/i: art director, copywriter, web designer, ecc ecc ecc
Regione di residenza:
Eventuali collaboratori
Argomento principale del blog (uno solo): 
Argomenti secondari (max 3):
Tipologia di blog (se personale o professionale):
Descrizione libera:
Eventuali note:

Per il momento l'iniziativa è limitata ai blog in lingua italiana i cui autori sono professionisti della comunicazione (freelance, dipendenti, a progetto, qualsiasi tipologia). Se l'autore deve essere un pubblicitario/comunicatore professionista, il blog può comunque essere sia su temi professionali, sia personali (riflessioni, hobby ecc).

Chi non ha un blog può segnalare quelli che segue sui temi pubblicità, comunicazione, grafica, i cui autori siano professionisti della comunicazione.

domenica 20 febbraio 2011

Paperless office

Quello che fa l'ADCI viene visto da tutta Italia

Massimo Guastini è stato eletto presidente dell'ADCI, Art Directors Club Italiano. Qui una sua intervista al blog Ninja Marketing. Qui il resoconto della sua elezione.

L'Art Directors Club Italiano riunisce i creativi della pubblicità italiana. Ci sono creativi e direttori creativi di ogni estrazione, quelli che lavorano prevalentemente per il Web e quelli che lavorano prevalentemente per la televisione. Secondo me molti di più dovrebbero farne parte. Quasi tutti i creativi più importanti sono o sono stati soci dell'ADCI.

Anche se il loro lavoro è molto visibile, i creativi in Italia forse lavorano un po' troppo nell'ombra, un po' incompresi.

In Inghilterra o in Francia quando un grande marchio cambia agenzia pubblicitaria, ne parlano i giornali perché l'evento ha una grossa portata economica. In Italia, per il momento, si parla di pubblicità sui giornali solo quando Vodafone TIM mette in discussione Belen come testimonial perché le vendite non vanno tanto bene.

È arrivato il momento di scoprire, anche in Italia, che la comunicazione pubblicitaria è di più di un'aggiunta cosmetica al prodotto. È una parte importante del prodotto.

La comunicazione è informazione. Senza informazione il mondo non esiste: il DNA è informazione. Le parole sono informazione. Verniciare una macchina, fabbricare bulloni, organizzare un'azienda sono problemi di efficiente gestione delle informazioni. Le particelle subatomiche sono informazione: se aggiungi un elettrone agli atomi che la costituiscono, tutte le caratteristiche della materia cambiano.

Senza informazione l'universo non esiste. Dal 1986 gran parte dell'informazione pubblicitaria italiana passa attraverso i soci dell'ADCI. È ora che si sappia.

sabato 19 febbraio 2011

La pubblicità italiana vista da Parigi

Andrea Stillacci parla della pubblicità italiana vista da Parigi, dove lavora da dieci anni. Sono molto d'accordo con la sua diagnosi. Trovo particolarmente interessante notare che, quando, con meno autorevolezza della sua, dicevo e scrivevo cose analoghe negli anni passati, sono stato accusato di voler lanciare una specie di guerra personale contro le agenzie.

venerdì 18 febbraio 2011

Perché le campagne finte sono una perdita di tempo

Quattordici mesi fa scrissi questo sul tema delle campagne finte (fake ads) che continua ad angustiare gli addetti ai lavori. In sintesi: sia continuare a parlarne sia continuare a realizzarle è una perdita di tempo.

È come l'mp3 per la musica: se una cosa è tecnicamente fattibile, ed è facile e gratificante farlo, si continuerà a farla, e non c'è campagna moralizzatrice che tenga.

Le campagne finte sono un sintomo di un fenomeno più ampio e per certi versi molto positivo: la soglia d'accesso alla pubblicità si è abbassata. Punto.

mercoledì 16 febbraio 2011

Smettiamo di considerare i testi un riempitivo

Su Bad Avenue si parla di Web marketing e di come esso sia frainteso dalle agenzie di pubblicità.

Il post è interessante ma contiene un paio di gravi errori ideologici:

  1. La figura dello scrittore per il Web arriva quarta dopo art director, planner e tecnico sviluppatore ("planner, art, tech man");
  2. Il lavoro del redattore dei testi viene descritto anche come colui che riempie gli spazi decisi dall'art director.
Si tratta della spia di un gravissimo fraintendimento, abbastanza comune fra chi non ha ben compreso la reale natura di Internet: pensare che i testi di un sito web siano un'aggiunta posteriore, non particolarmente determinante per il valore del sito, tant'è vero che tutta la progettazione potrebbe essere fatta senza collaborazione di un copywriter (o pensando che il planner sia una figura che prescinda da una grande capacità di elaborazione testuale). In realtà, con poche eccezioni, nella maggior parte dei siti Web tutto deve essere finalizzato alla valorizzazione e alla facile lettura dei testi, tenendo come bussola principale usabilità, chiarezza e facilità di comprensione.

Per dimostrare quant'è pericolosa l'impostazione che vede come secondari e aggiuntivi i testi basta fare questo esperimento mentale:
  • Proviamo a togliere tutto da internet (immagini, video, animazioni digitali, effetti speciali) eccetto codice html e testi. Resta comunque un'infrastruttura utilizzabile, meno divertente, più grigia, senza video e cotillons, ma sempre un'infrastruttura utile e utilizzabile.
  • Proviamo a lasciare tutto, togliendo solo i contenuti testuali: non resta niente di utilizzabile. Contenuti visivi alla rinfusa. Zero. Meno di zero.
Senza testi, Internet crolla.

martedì 15 febbraio 2011

Il tema dei licenziamenti in pubblicità (e nel terziario in genere)

Il tema dei licenziamenti è un tema difficile, perché ad alto contenuto emotivo.

Bisognerebbe però tentare un'analisi più razionale alla ricerca di migliori soluzioni, sia a livello personale, sia a livello sociale. Secondo me bisognerebbe partire da tre presupposti:

  1. I licenziamenti sono un fatto della vita. Il singolo licenziamento può essere giusto o sbagliato, però è un evento che, nell'attuale realtà lavorativa, prima o poi capita a tutti, sopratutto se si lavora nei servizi e soprattutto se si lavora in aziende medie e piccole.
  2. Il problema non è assicurare quel posto di lavoro a vita, bensì aiutare il lavoratore a gestire il problema, evitando l'eccessiva drammatizzazione.
  3. Il lavoro è anche evoluzione (o passaggio) da un'attività a un altra, e non sempre, un percorso di carriera all'interno della stessa azienda. I sindacati e legislatori di sinistra sono ancora inchiodati a pensare al lavoratore dipendente come unica figura legittima; aziende e legislatori di destra invece sono fissati nel considerare collaboratori e fornitori unicamente come costi da ridurre il più possibile.
Bisogna contrastare licenziamenti facili, irresponsabili o ingiusti, così come bisogna contrastare il mobbing.

Però bisogna anche prendere atto del fatto che, una volta che il rapporto di fiducia fra lavoratore e azienda è rotto (spesso per colpa dell'azienda) comunque è molto difficile per il lavoratore continuare serenamente il rapporto di lavoro. Anche se perdere il lavoro sembra un'alternativa terribile, in realtà spesso, in termini di stress, salute e benessere personale, continuare a lavorare per un'azienda ostile può essere peggio.

Le soluzioni pragmatiche quindi sono:

  1. Ammortizzatori sociali che sostengano, del tutto o in parte, il lavoratore durante il periodo di disoccupazione (che in un mondo del lavoro moderno possono essere parziali). Gli attuali ammortizzatori non sostengono il lavoratore, bensì l'azienda (e solo alcune).
  2. Sostegno e formazione per gestire gli inevitabili alti e bassi di reddito. I fondamentali della gestione finanziaria familiare dovrebbero essere insegnati a scuola.
  3. Formazione e sostegno, anche psicologico, per ricollocarsi sul mondo del lavoro, sia per la ricerca di un nuovo lavoro dipendente, sia per l'avviamento di un'attività, temporanea o definitiva, di consulente, microimprenditore o freelance.
Il problema italiano invece è che il sistema del lavoro, al di fuori del vasto mondo informale del lavoro in nero, è estremamente rigido e diviso in compartimenti stagni nei quali  difficilissimo trasferirsi secondo esigenze che cambiano nel tempo: se sei un dipendente, è difficile che tu sia licenziato. Se però vieni licenziato, è difficile ritornare dipendente. Se fai il consulente temporaneo in attesa di ricolocarti, ti trovi di fronte gli impegni amministrativi dell'impresa. Se apri una partita iva, è dificile o costoso passare a fare il dipendente. In certi casi è persino complesso fatturare diverse tipologie di collaborazione, oppure passare in modo trasparente da un'attività a un'altra, oppure - in modo molto paradossale - detrarre dai ricavi i costi di formazione e riqualificazione. E così via.

sabato 12 febbraio 2011

La differenza fra politico e statista

Un politico guarda alle prossime elezioni.
Uno statista guarda alla prossima generazione.
Alcide De Gasperi.

Questo è un aforisma che riguarda sia Berlusconi, sia D'Alema, e tutti i loro stretti collaboratori.

Capo del governo il primo e capo occulto dell'opposizione il secondo, entrambi sono mediocri e furbastri, imbattibili nel galleggiare ma incapaci di navigare.

mercoledì 9 febbraio 2011

Proverbio cinese

Se vuoi un anno di prosperità fai crescere il grano. Se vuoi dieci anni di prosperità, fai crescere un frutteto. Se vuoi cento anni di prosperità, fai crescere le persone.

Perché Sindacati, Sinistra e Governo sul mondo del lavoro sbagliano in pieno

Il mondo del lavoro è cambiato da almeno venti anni e chi lavora in pubblicità e nei new media  se n'èe accorto prima degli altri.

Sindacati e tutele a misura unica possono servire ma non risolvono tutti i problemi.

Oggi occorrono anche punti di riferimento professionale per gestire i diversi stadi di carriera. Un buon esempio per le partite iva e alcune tipologie di precari è ACTA, l'Associazione Consulenti Terziario Avanzato.

Salvo rare persone, è rarissimo che un giovane entri a 25 anni in agenzia o in azienda e ne esca 40 anni dopo con la pensione. Come minimo cambia tre o quattro datori di lavoro, svolge dei periodi da consulente, in certi casi apre la sua piccola o media impresa.

Il problema NON è avere il lavoro garantito a vita né ordini professionali corporativi, ma avere strumenti (anche dallo stato) per gestire gli inevitabili alti e bassi di reddito e di lavoro, senza drammi ma anche senza ostacoli inutili.


Anche perché (e questo sindacati e PD proprio NON l'hanno capito e vivono ancora nel 1950), non tutti vogliono o possono lavorare per tutta la vita nella stessa azienda.

Questa considerazione vale per quasi tutti i settori moderni. Il problema italiano invece è che i sindacati sono fermi al lavoro dipendente a vita (caratteristico della pubblica amministrazione e di qualche grande azienda), mentre la norma ormai è costituita da percorsi di carriera variabili.

L'altro problema è che lo Stato Italiano e il Fisco, lungi dall'agevolare questi percorsi, li penalizza e ostacola, offrendo servizi scadenti, nessun ammortizzatore sociale evoluto (a parte la "cassa integrazione" che serve principalmente per favorire le aziende medie e grandi), favorendo contemporaneamente il formalismo normativo e l'evasione fiscale.

Su questo tema in Italia sbagliano tutti:

  1. I sindacati, che si arroccano a difendere solo i lavoratori dipendenti delle grandi aziende e i pensionati;
  2. I partiti di sinistra a cominciare dal PD, che non si sono ancora accorti di milioni di precari, microimprenditori e partite iva, e pensano che l'eventuale soluzione è assumerli tutti (da chi?);
  3. Il Governo pseudoliberale che abbiamo adesso, che tutela (quando li tutela) principalmente gli interessi della grande impresa.
Due riforme sono indispensabili, una di esse a costo zero (salvo che per gli interessi costituiti):
  1. Il sussidio di disoccupazione invece della cassa integrazione.
  2. La certezza e rapidità dei pagamenti. Solo in Italia esistono i pagamenti a 90, 120, 180 giorni, senza alcuna sanzione né disincentivo per chi ritarda. Ma chi è che ritarda i pagamenti più di tutti? Guarda caso proprio lo Stato e la Grande Impresa...

martedì 8 febbraio 2011

L'errore storico dell'Art Directors Club Italiano

L'ADCI, Art Directors Club Italiano è l'associazione dei creativi della pubblicità italiana. Ne esistono analoghe in tutti i paesi del mondo o quasi. I due più importanti a livello internazionale sono l'Art Directors Club di New York e il  D&AD British Design and Art Direction.

L'ADCI italiano ha sempre avuto la fissa di proporsi come associazione d'élite, aprendo le sue porte quasi esclusivamente a chi aveva prestigiosi premi o almeno tre pubblicazioni sull'Annual, l'annuario della migliore pubblicità italiana pubblicato appunto dall'ADCI.

L'attuale Consiglio Direttivo (in scadenza a breve) è stato uno dei più tenaci in proposito, salvo una grande disponibilità ad accogliere studenti e stagisti, disponibilità un po' pelosa, vista la composizione lavorativa dei reparti creativi delle agenzie (pochi dirigenti, pochissimi collaboratori anziani, tanti stagisti).

Non si sono accorti che nel frattempo il resto del mondo era cambiato, e  da parecchio tempo. Basta osservare il fatto che, per entrare nelle due associazioni più prestigiose del mondo pubblicitario, invece, non occorrono particolari formalità:

- Art Directors Club di New York
Per accedere come soci professionisti è sufficiente lavorare in pubblicità da almeno due anni. Vengono distinti i soci residenti (che lavorano entro 100 miglia da NY) e non residenti (anche stranieri).

Qui le informazioni per iscriversi all'ADC of NY.


- British Design and Art Direction D&AD
Per le persone fisiche, prevede "Awarded Member", e "Member"; il costo è uguale, i benefit sono analoghi. Gli Awarded Member sono stati citati almeno una volta nell'Annual D&AD



È possibile iscriversi persino online, senza altre formalità.

Mi sembra la prova evidente che il limite delle tre pubblicazioni e la fissa dell'Associazione d'Elite siano rigidità tutte italiane, derivanti dalla cultura degli albi professionali, delle gilde e delle corporazioni.

lunedì 7 febbraio 2011

Facebook in Italia a gennaio 2011

Facebook in Italia
Il popolo di Facebook attualmente è circa il 20% della popolazione italiana, e probabilmente il 30% della popolazione attiva.

Gli utenti di internet naturalmente sono di più (circa 25 milioni).

La grande maggioranza degli italiani (almeno il 50%) è totalmente al di fuori in Internet e non lo usa né a casa né al lavoro, oppure, al massimo, ha un familiare che lo usa, probabilmente il figlio o la figlia, oppure il coniuge che lavora. La gran parte degli italiani (circa il 60%) si informa sulle notizie di attualità politica ed economica esclusivamente attraverso la tv.

Qui alcune considerazioni di Roberto Venturini sull'utenza Internet italiana in base ai dati Audiweb.

domenica 6 febbraio 2011

Venti F24 in un anno. La prova che Berlusconi e Tremonti, 16 anni dopo, hanno fallito

Il commercialista mi ha chiesto di mandargli le quietanze dei modelli F24 pagati online. Li ho contati. Nel 2010 ho compilato 20 modelli F24. Quasi due al mese.

16 anni fa Silvio Berlusconi aveva promesso "Meno tasse per tutti", firmando anche platealmente in tv un contratto con gli Italiani, in una trasmissione di Bruno Vespa.

Giulio Tremonti, che è sempre stato il ministro dell'Economia dei Governi Berlusconi, nel 1986 aveva scritto il libro "Le cento tasse degli italiani". Quindi era ed è ben consapevole della complessità del sistema fiscale italiano.

Venti modelli F24, fra compilazione e gestione, significano almeno 20 ore di lavoro, non retribuito da nessuno. Tutto questo per fare data entry a beneficio dello Stato, e per pagare a tuo rischio e pericolo, perché ogni minimo errore comporta pesanti sanzioni.

Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sono inadempienti.

Silvio Berlusconi aveva promesso meno tasse, e dopo 16 anni (con tre governi Berlusconi) la pressione fiscale italiana è rimasta fra le più alte d'Europa.

Si può dire che è colpa della crisi, della congiuntura, del terrorismo internazionale. Ma, se non si poteva abbassare le tasse (affermazione tutta da provare), però si poteva lavorare sulla semplificazione. Su quella non ci sono scuse.

Invece NON c'è stata. La semplificazione degli adempimenti, delle regole, delle normative NON è questione di costi, di crisi, di aumenti di spesa. Inoltre, mentre forse si può sostenere che il povero Silvio Berlusconi è stato distratto dai processi e da giudici malevoli, Giulio Tremonti ha lavorato indisturbato.

Vero che i due governi Prodi, con Visco Ministro e poi Viceministro hanno dato una mano (Vincenzo Visco è stato un grande complicatore normativo, almeno dal punto di vista di commercialisti e piccole imprese).

Ma possibile che, dal 1986 (anno in cui Tremonti scriveva "Le cento tasse degli italiani") ad oggi il problema degli innumerevoli adempimenti a carico persino delle ditte individuali sia stato appena sfiorato? Alla faccia delle riforme liberali promesse 16 anni fa (e che a quanto pare stanno diventando urgentissime solo oggi).

Se non potevano abbassare le tasse, potevano almeno semplificarle.

Io non ho mai creduto a Silvio Berlusconi (lo conoscevo, anche se non personalmente, da molto tempo prima che entrasse in politica). A modo suo è simpatico. Ma è un gran bugiardo.

sabato 5 febbraio 2011

Il futuro del segreto, e i problemi di Donald Draper

Bad Avenue è un blog che parla di pubblicità cercando di fare controinformazione rispetto alle verità edulcorate pubblicate dalle testate di settore.

Gli autori sono diversi, coperti da pseudonimo, capeggiati da un misterioso Donald Draper, pseudonimo ispirato alla serie tv Mad Men.

Come puro esercizio intellettuale, vorrei spiegare per quali motivi, secondo me, entro 12 -18 mesi sono altissime le probabilità che si venga a sapere chi è il Mister X che si nasconde dietro lo pseudonimo:

  1. Chi ha rapporti personali o professionali con Mister X, rapporti di lavoro, corrispondenza via e-mail, sicuramente prima o poi comincerà a notare elementi di stile e tic caratteristici. Il modo di scrivere è spesso rivelatore. Se qualcuno è in grado di fare un'ipotesi sull'identità di uno scrittore sotto pseudonimo, col tempo diventa relativamente facile scovare altri indizi rivelatori.
  2. Se Mister X lavora in agenzia, è possibile che i suoi colleghi e collaboratori che seguono anche il blog possano notare strane corrispondenze fra le diverse attività. Ad esempio, durante lunghe riunioni di lavoro, il blog è inattivo; oppure, quando Mister X si ritira a lavorare, dopo un po' esce un post su Bad Avenue. Idem potranno essere fatte analoge correlazioni se e quando Mister X andrà in viaggio o in vacanza, periodi in cui dovrà evitare riferimenti rivelatori e modificare in modo eccessivamente palese la frequenza dei post. Sembra semplice evitare di cadere in queste trappole, ma in realtà, in un mondo iperconnesso, la possibilità di fare passi falsi rivelatori è sempre più elevata, per chi ha una doppia vita. La strategia più promettente, forse: seminare indizi falsi, per confondere le acque.
  3. Se Mister X non è un paranoico addestrato alla doppia identità, è inoltre possibile che esista già un inner circle di collaboratori, confidenti o semplici impiccioni casuali che sono giù al corrente della sua doppia vita. Siccome i segreti sono tali solo finché sono custoditi da una sola persona, questo vuol dire che il segreto si sta già allargando a macchia d'olio. Inoltre molte persone sono attirate dall'idea di fare lo scoop. Magari, per ora, solo due o tre sanno, e altri due o tre sospettano. Ma il paese è piccolo, la gente mormora, le voci corrono.
Esiste un ulteriore possibile problema all'orizzonte: i diritti d'utilizzo del nome Donald Draper. Man mano che il blog acquisterà ulteriore visibilità, dubito che i produttori televisivi della serie Mad Men lascino fare, soprattutto visto che il blog sta utilizzando, uno dopo l'altro, i nomi di tutti i personaggi della serie. Esperimento mentale: se un blog controverso utilizzasse come pseudonimi Paperino, Paperone, Paperoga, Rockerduck, Gastone, Archimede, Ciccio e Nonna Papera, secondo voi la Disney Italia lascerebbe fare?

Insomma, lo esprimo come un amichevole consiglio, secondo me è necessario elaborare i piani A, B e C:
  • A. Come faccio a tutelare il segreto (se veramente ci tengo) per sempre?
  • B. Cosa faccio se la mia identità viene rivelata: in che modo posso parare il colpo o, pragmaticamente, sfruttare la cosa a mio vantaggio, se possibile?
  • C. Cosa faccio se la ABC viene a rognare sull'utilizzo del nome del personaggio?
Ma Mister X forse lo ha già fatto.

giovedì 3 febbraio 2011

Bel blog/sito personale

Il blog-sito personale di Luisella Cresto, che non conosco ma ho recentemente incrociato via Twitter. Mi piacciono molto la semplicità dell'impaginazione e le immagini.