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mercoledì 14 dicembre 2011

Il governo ammette l'accordo sottobanco sulle Frequenze TV



Questo scambio di battute fa il paio con le dichiarazioni di Luciano Violante alla Camera nel 2003, che dimostrano quanto il problema televisivo sia centrale nella politica italiana (con un conflitto di interesse che riguarda, oltre a Silvio Berlusconi, anche tutti i principali partiti e la loro lottizzazione in ambito Rai).

lunedì 7 febbraio 2011

Facebook in Italia a gennaio 2011

Facebook in Italia
Il popolo di Facebook attualmente è circa il 20% della popolazione italiana, e probabilmente il 30% della popolazione attiva.

Gli utenti di internet naturalmente sono di più (circa 25 milioni).

La grande maggioranza degli italiani (almeno il 50%) è totalmente al di fuori in Internet e non lo usa né a casa né al lavoro, oppure, al massimo, ha un familiare che lo usa, probabilmente il figlio o la figlia, oppure il coniuge che lavora. La gran parte degli italiani (circa il 60%) si informa sulle notizie di attualità politica ed economica esclusivamente attraverso la tv.

Qui alcune considerazioni di Roberto Venturini sull'utenza Internet italiana in base ai dati Audiweb.

martedì 30 novembre 2010

Tv ieri e oggi: si stava peggio quando si stava peggio.

In questa trasmissione del 1977 di alto contenuto culturale ci sono Alberto Arbasino, Mario Monicelli e Nanni Moretti.

È interessante vedere come, nonstante i tre mostri sacri, ci siano sempre gli stessi difetti della tv italiana: le persone si parlano sopra, si interrompono, non rispondono alle domande, non lasciano finire di parlare. E se possibile (mi riferisco alla conduzione di Arbasino e alla regia) con ancora minor telegenicità di oggi. Insomma, se un dibattito sull'arte del cinema con tre mostri sacri era così, la tv di una volta non era così migliore di quella di oggi.



giovedì 4 novembre 2010

Twitter e Facebook non fanno la rivoluzione

Sono un entusiasta di Twitter e penso che sia potentissimo per condividere le informazioni. Allo stesso modo considero Facebook un ambiente molto interessante per condividere amicizie e anche per collaborare e lavorare (anche se molte aziende tendono a vederslo solo come una potenziale perdita di tempo). Però, sulla scorta di 16 anni di esperienza su Internet e quasi venti di esperienza online, mi trovo a condividere, mio malgrado, il contenuto di questo articolo del New Yorker: La rivoluzione non passa da Twitter.

In sintesi esistono almeno due tipi di legami; i legami forti e i legami deboli. I social network facilitano enormemente i legami deboli, a rete. I quali, passata la sorpresa del primo impatto, probabilmente rendono pià fluido ed efficiente lo status quo, piuttosto che metterlo in dubbio. Per attività di forte impatto sociale, dall'attivismo politico alla rivoluzione, occorrono invece legami forti, integrando i legami a rete con una gerarchia decisionale che si prenda la responsabilità della leadership. E talvolta anche abnegazione e coraggio fisico. Da prendere il treno per partecipare a un convegno fino a rischiare le manganellate a un sit in, qualcosa di più di cliccare un bottone, modificare un avatar, firmare una petizione online.

Conclusione: Internet non è rivoluzionario, al massimo è evoluzionario. Sempre ammesso che non si trovi il modo di utilizzarne la potenza per un controllo sociale sempre maggiore, rendendo lo strumento addirittura anti-rivolusionario.

Chissà. Il pericolo esiste.

lunedì 18 ottobre 2010

Il ritorno della tv generalista (ma senza fermare la crescita dei social network)

Per anni avevo previsto un ridimensionamento della tv generalista il cui pubblico, soprattutto in Italia, continua a invecchiare. Nel lungo periodo magari può essere ancora vero, anche per probabile convergenza tecnologica delle reti, però la tendenza attuale sembra essere questa: TV per l'immagine di marca (branding); Web e social network per passaparola e fidelizzazione; ridimensionamento della stampa che perde copie e investimenti.
In pratica, il classico spot da 30 e da 60" ha ancora una lunga vita davanti a sé, mentre però nel frattempo si sviluppano ulteriormente gli usi per il marketing di Internet e Social Network.

Se la pensi diversamente, commenta e aggiungi il tuo punto di vista.

mercoledì 8 settembre 2010

Un paese sub-normale

In un paese normale di solito chi ottiene grandi ascolti televisivi e genera fatturato pubblicitario ottiene più risorse per fare le sue trasmissioni. Non succede in Italia, dove le trasmissioni tv scomode per il governo vengono emarginate, perché l'Italia è un paese sub-normale. Nel senso che è al di sotto di tutti gli standard europei: istruzione, libertà di stampa, lettura di libri e giornali, percentuale di laureati.

sabato 26 giugno 2010

Occhio allo spot... ma l'agenda la detta l'informazione

Qui si fa una giusta critica di comunicazioni pubblicitarie sessiste, ricche di immagini ammiccanti, soft-porno e non lusinghiere nei confronti della figura sociale della donna. Occorre però fare un paio di osservazioni:

1. NON è vero che la pubblicità sia all'avanguardia dell'osceno: in fatto di soft-pornografia la pubblicità è al rimorchio di stampa e tv generalista: infatti sin dagli anni 80 le copertine di Panorama erano ben più esplicite di questa campagna stampa. Per non parlare di quel che si vede in TV nelle reti "per famiglie". Sono TV e informazione che dettano l'agenda, cercando spesso il minimo comun denominatore per raggiungere il pubblico più ampio, ovvero sesso, pettegolezzi e violenza.

2. Occorrerebbe inserire nel curriculum scolastico anche la "comprensione e decodifica dei Media", a partire dalle scuole elementari.
L'informazione è spesso più ingannevole della pubblicità tradizionale che, almeno, ha il pregio di essere esplicita e di avere un committente chiaramente identificato. Di fronte alla pubblicità solo i più ingenui non si rendono conto che è un messaggio di parte e quindi va sempre esaminato criticamente. Di fronte ai Telegiornali moltissimi spettatori sono totalmente indifesi.

venerdì 18 giugno 2010

Pubblicità ingannevole da parte della Rai?

Secondo Altroconsumo e altri, gli spot Rai che parlano di "Tifo libero", sarebbero ingannevoli. Non è vero infatti che i Campionati Mondiali di Calcio vengono offerti gratuitamente dalla Rai al suo pubblico, sia perché le partite diffuse sono solo alcune e non tutte, sia perché il servizio è offerto solo via digitale terrestre.
E, infine, perché la Rai viene finanziata dai cittadini -- compresi quelli che non la guardano, non la ricevono o, secondo alcune interpretazioni all'interno di un autentico caos normativo, compresi quelli che non hanno la tv ma dispongono di accesso a Internet -- con il canone e, quando questo non basta, con le tasse generali, da cui viene attinto per ripianare il deficit dell'azienda.