martedì 23 aprile 2013

Lezioni di Giornalismo (35) - Se parli di Twitter e Internet, meglio essere incompetenti

Stamattina c'è stata la solita clamorosa notizia degli "hacker" che hanno "manipolato il sito" di un'agenzia di stampa statunitense.

A Radio 3 Mondo la giornalista in onda, leggendo le notizie dai siti stranieri ha spiegato "gli hacker hanno manipolato il sito dell'Associated Press e hanno mandato due tweet" con la falsa notizia di un'esplosione alla Casa Bianca.

È evidente che, anche dal grossolanissimo resoconto della giornalista, le cose sono andate in modo molto più banale, e tecnicamente comprensibile anche per un inetto tecnologico, a meno che non sia totalmente ignorante delle cose della rete:

Qualcuno ha scoperto, si è impadronito o è venuto a sapere in qualche modo la password dell'account Twitter dell'Associated Press e ha mandato due tweet. 

Un incidente che, in diversi modi, potrebbe capitare a chiunque.

Anzi capita continuamente, visto il modo con cui la gente elabora le password dei servizi online che utilizza, spesso condividendole fra più persone. Molto più banale che "manipolare il sito".

Questa la spiegazione più probabile. È anche possibile che sia stato craccato l'account Twitter con altri mezzi rispetto alla sottrazione della password, ma in questo caso ad essere "hackerato" sarebbe stato Twitter.com e non "il sito dell'Associated Press", con possibili conseguenze molto diverse e molto più ampie di un semplice paio di falsi tweet. Ovvero, in quel caso, tutti gli account Twitter sarebbero potenzialmente in pericolo, almeno per qualche tempo.

La notizia caso mai porta all'attenzione un problema sulla sicurezza generale di Twitter: nato come account per utilizzo personale, attualmente la sua sicurezza è difficilmente gestibile per account di tipo aziendale che devono essere utilizzati - con diversi livelli di accesso  magari 24 ore su 24 - da più persone che vi accedono sia utilizzando la password, sia utilizzando altre applicazioni come Hootsuite, Tweetdeck, Facebook e altre.


mercoledì 17 aprile 2013

Voto online e democrazia diretta: perché è ancora troppo presto


Il voto online sembra una procedura facile e veloce, per chi non ha mai studiato il problema.

In realtà gestire consultazioni, referendum e voti online è tutt'altro che facile e richiede un'infrastruttura che ancora non esiste, particolarmente dal lato utente.

Molti profani sono ingannati dalla confusione fra sondaggi, inchieste demografiche e votazioni. Gestire un voto, un referendum o una qualsiasi consultazione attendibile è molto più difficile e complesso che gestire un semplice sondaggio online, scientifico o no.

Mentre gestire un sondaggio non scientifico è facilissimo (molti siti lo fanno, e persino singoli utenti) e gestire un sondaggio con attendibilità scientifica è solo un po' più complesso ma basta rivolgersi a degli esperti, di sondaggi & di tecnologia informatica, gestire un voto o un referendum online è diabolicamente complesso. E infatti tutti i sistemi di "televoto" in uso vengono dedicati a questioni relativamente poco importanti (il Festival di Sanremo, trasmissioni televisive) e sono basati sul telefono, ma non garantiscono al 100% che un call center non possa mettere a segno voti multipli in gradi di influenzare, anche solo marginalmente, la consultazione. E comunque, gli utenti motivati che dispongono di più telefonini e una linea domestica possono impunemente dare due o tre voti allo stesso cantante, cosa che in una consultazione politica non può essere ammesso.

Il grosso problema è questo: garantire l'autenticità del voto insieme all'anonimato.

I modi comuni per identificare un utente in rete sono diversi, ma nessuno è univoco né perfetto. Ad esempio:

  1. Assegnare un identificativo e una password. Ma nessuno può garantire che questi vengano usati solo da quella particolare persona. Inoltre una stessa persona può procurarsi più identificativi, se vengono assegnati in forma anonima:  vedi ad esempio gli acquisti online.
  2. Utilizzare il telefonino per votare. Il telefonino è un modo abbastanza buono per identificare un utente: il numero è personale, anche l'apparecchio ha un numero di serie univoco. Il problema è che una stessa persona può possedere o avere accesso a più di un telefonino. Perché il telefonino possa essere usato in modo affidabile per un voto online esteso a tutta la popolazione, occorrerebbe che tutti i maggiorenni dispongano di un telefonino; e che questo venisse assimilato a un documento di identità (ma solo uno dei telefonini accessibili a una data persona). 
  3. Identificare la persona con un indirizzo e-mail univoco. Stesse problematiche del punto 1 e 2. Inoltre larga parte della popolazione italiana e mondiale non usa ancora l'e-mail, mentre una parte della popolazione dispone di innumerevoli indirizzi e-mail.
  4. Identificare la persona con il codice fiscale. È facile evitare che uno stesso codice fiscale voti più volte, ma è difficile evitare che una persona utilizzi diversi codici fiscali di persone non interessate al voto oppure conniventi per dare voti multipli.
  5. Identificare una persona con la carta di credito o con il bancomat. Stesse problematiche del punto 2.
  6. Attribuire a ciascun cittadino una tessera elettronica non falsificabile utilizzabile come mezzo per votare (sistema analogo alla scheda elettorale).
Resta però il problema dell'anonimato del voto: per la natura stessa del software, che se non è aperto è noto solo a chi lo ha creato, l'unica possibilità è fidarsi del produttore delle macchine hardware-software di gestione.

Per disporre di un sistema di voto online inoltre non basta "mettere su il sito" e attendere che la gente voti. Esiste anche un ulteriore problema, non trascurabile: la gestione del picco di traffico sul sito, cosa che si è vista con l'imprevisto successo dell'ultimo censimento nazionale, in cui il sito dell'Istat ha avuto difficoltà nel gestire l'afflusso di cittadini desiderosi di compilare online.

In sintesi: avere un sistema di voto online sicuro non è impossibile, però è soggetto a due esigenze contrapposte e difficili da mediare:
  • Sicurezza. Più il sistema è sicuro, più è difficile da usare, oppure richiede soglie di accesso difficili da implementare e mantenere (esempio: un terminale sicuro in ogni casa, un identificativo sicuro per ogni adulto, oppure soluzioni software basate sulla crittografia a chiave pubblica che non richiedono oggetti hardware ma possono essere complessi da gestire anche per utenti evoluti, figuriamoci gli utenti semi-analfabeti).
  • Anonimato. Più il sistema garantisce l'anonimato del voto, più è difficile garantirsi contro gli abusi, dagli hacker che insidiano il sito, ai voti multipli.
Anche il voto cartaceo non è esente da problemi e brogli elettorali. Ma per ora allestire duemila gazebo come per le primarie del PD (utilizzando migliaia di volontari), o allestire le sedi elettorali in tutte le scuole per il momento è molto più facile e relativamente più sicuro.

Aggiornamento: anche Paolo Attivissimo parla di voto elettronico, qui, in un post scritto qualche giorno dopo questo che sostanzialmente conferma, in altro modo e da altri punti di vista, i dubbi che ho espresso su utilizzabilità e sicurezza del voto elettronico e online.

lunedì 8 aprile 2013

Lezioni di giornalismo (34) - Quando si parla di soldi, nei titoli confondi lordi e netti

2500 euro netti contro 6000 euro lordi...
La Repubblica dell'8 aprile 2013 esce con un articolo che nel titolo attacca frontalmente il Movimento 5 Stelle per aver tradito la promessa di autoridurre lo stipendio dei propri parlamentari a 2500 euro netti al mese. Ed equivoca su netto e lordo.

Beppe Grillo chiarisce subito sul blog qui. Si parla di 2500 euro netti, ovvero 5000 lordi.

Naturalmente si può obiettare che il blog di Beppe Grillo è di parte e non è autorevole. È vero. Ma anche Repubblica lo è. Morale: quando lo dice La Repubblica, controllare sempre anche un'altra fonte o due, consiglio che vale anche per le notizie trovate in rete.

D'altra parte il vizio dei titoli malandrini o grossolanamente sensazionalistici ce l'hanno un po' tutti: Corriere della Sera, il Giornale, Libero, L'Espresso, i giornali locali...




domenica 7 aprile 2013

Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane: i tre sabotatori dell'Italia moderna


La prova dell'inadeguatezza della classe dirigente italiana è data dall'osservazione di tre infrastrutture che siamo talmente abituati a considerare di livello scadente che non ce ne accorgiamo neppure più: Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane.

Per descrivere la situazione di Alitalia basta un acronimo, coniato decenni fa: A.L.I.T.A.L.I.A.: Always Late in Take off, Always Late in Arrival. Sempre in ritardo al decollo, sempre in ritardo all'arrivo. La compagnia aerea è in stato praticamente fallimentare ormai da anni, e dopo diversi salvataggi di governo resta sempre un esempio di cattiva gestione e cattivi servizi.

Di Trenitalia tutti hanno esperienza. I treni pendolari sono indecenti, lontani da qualsiasi standard europeo. I treni a lunga percorrenza funzionano meglio, ma con l'incognita "stai fermo un giro" sempre pronta ad uscire.

Colpetto di grazia all'editoria italiana.

Poste Italiane è il servizio più quotidiano, quello che fa meno notizia ma che ha un impatto più subdolo. Ad esempio, dopo anni di riduzione del servizio di recapito della posta, dal 2011 Poste Italiane ha deciso di non svolgere più il recapito postale il sabato mattina. Adesso sta eliminando gli uffici periferici, quelli essenziali per il servizio universale e che spesso rappresentano l'unica struttura pubblica presente in un piccolo comune o in una piccola frazione.

L'eliminazione del recapito al sabato sembra una cosa da poco (che vuoi che sia? quel che non arriva sabato arriverà lunedì) ma in realtà, dopo anni di disservizi, i costi fra i più elevati d'Europa e i regolamenti fra i più farraginosi, probabilmente è stato il colpo mortale al settore degli abbonamenti a giornali e periodici.

Nei casi in cui una combinazione virtuosa lo consentiva, gli abbonati di Milano, Roma e molte altre città avevano spesso la fortuna di ricevere (come succede in gran parte d'Europa) il proprio settimanale il sabato mattina, il giorno dopo dell'uscita in edicola. Questo significa poterlo leggere con comodo nel weekend (è questo il motivo per cui i settimanali di informazione escono in edicola il giovedì o il venerdì). Adesso, nel 100% dei casi, è garantito che non arriverà niente prima di lunedì.

Sembra una cosa da poco, e sembra anche una cosa un po' nostalgica (qualcuno obietterà: "sì ma adesso il settimanale me lo leggo sull'iPad"), invece è un colpo all'editoria italiana il cui impatto è probabilmente è paragonabile a quello del disegno di legge "Intercettazioni". Se i giornalisti italiani capissero di marketing e direct marketing, si ribellerebbero loro, senza aspettare gli "indignados".

Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane non sono un castigo divino da tollerare con pazienza e rassegnazione. Sono i tre sabotatori che contribuiscono da decenni a tenere l'Italia nella situazione di arretratezza che vediamo.

giovedì 4 aprile 2013

L'Italia è semplicemente governata male. Da 150 anni.

I problemi dell'Italia sono semplicemente disorganizzazione e malgoverno.

Ci sono voluti anni per accorgersi che lo stato paga tardi i fornitori. E questo per semplice disorganizzazione e cattiva gestione: mentre le grandi aziende possono trarre ingiusti vantaggi finanziari dal fatto di trattare i fornitori come banche loro malgrado, le istituzioni pubbliche in genere pagano tardi per lungaggini burocratiche, cattiva gestione della liquidità, cattiva gestione delle priorità organizzative.

Poi, ci sono voluti anni per arrivare a prendere in considerazione la soluzione più ovvia fra le possibili soluzioni: compensare i crediti con le tasse.

Ad ogni livello, dal Quirinale all'ultima aziendina, e con rare eccezioni, in Italia tutto è sempre barocco, complicato, più lungo del solito fa fare o da ottenere. Semplice disorganizzazione, talmente pervasiva che non ce ne accorgiamo neanche più.