venerdì 5 dicembre 2014

In gara per perdere tempo

Cosa c'e' di meglio di una bella gara per movimentare il rapporto fra agenzia 
e cliente? 

Il comitato deciderà chi ha vinto, dopo un adeguato numero di riunioni.



Esiste un modo sicuro per decidere senza assumersi responsabilità.
Mettere costantemente i fornitori in gara. È un metodo garantito: dietro  la prassi fintamente scientifica e obiettiva, è possibile ottenere questi risultati:


  1. Apparire un dirigente tosto che bada al risultato. Invece di far leva su elementi difficili da quantificare, come fiducia e affidabilità del consulente o del fornitore, si sceglie un elemento oggettivo: il prezzo finale. Oggettivo come i listini di borsa, ovvero esposto a ogni variazione del tempo e ogni soffio di vento.
  2. Quantificare un "risparmio" oggettivo: si prende l'offerta più alta, si sceglie l'offerta più bassa, si effettua una semplice sottrazione. Ecco il risparmio conseguito dall'azienda. Semplice e geniale... e del tutto teorico, perché restano fuori dall'equazione i due fattori più importanti: il rapporto qualità prezzo; il ritorno sull'investimento (se investo 10 e ottengo 12, ho un attivo; se investo 5 e ottengo 4, invece di risparmiare ho una perdita).
  3. Illudersi di ottenere il meglio con poca spesa. I fornitori in gara, ovviamente daranno il massimo... e noi scegliamo il meglio,  perché siamo particolarmente furbi.
  4. Pilotare comunque la scelta, quando necessario. Nell'ambito di una gara, le possibilità di pilotaggio sono illimitate. Il fornitore preferito ha fatto l'offerta piu' bassa? Ecco conseguito il massimo risparmio. Il fornitore da preferire ha fatto una prudente offerta media? Si comincia scartando la più alta e la piu' bassa, perché "fuori mercato" e poi si pilota abilmente verso l'offerta giusta. E cosi' via.


In pubblicità la gara d'appalto è un meccanismo micidiale. Le agenzie abboccano all'amo con l'appetito di trote d'allevamento a digiuno da 72 ore, anche perché spesso per molte agenzie è l'unica leva che sono capaci di muovere per fare il new business, ovvero per acquisire nuovi clienti.

Le aziende sono convinte di fare il grande slam: risparmio, piuù shopping di idee,
più obiettività del metodo, più consulenza gratuita perché anche le agenzie che non si
aggiudicano il lavoro forniscono quasi sempre elementi utili per il giudizio finale.

In realtà le gare, come tante altre cose, possono essere utili se prese a piccole dosi. Ma in dosi massicce sono un costo sia per le aziende, sia per le agenzie.


I costi nascosti.
Ogni gara è come un iceberg: di fronte ai vantaggi visibili, ci sono enormi costi nascosti.

Per le aziende: il tempo e' denaro.   Il processo decisionale di una gara con tre agenzie (ma si sono viste gare d'appalto per budget pubblicitari non stratosferici con dieci, quindici agenzie in
lizza) comporta come minimo tre riunioni di briefing, tre presentazioni, svariate riunioni interne per prendere una decisione, senza contare il tempo perduto dall'inizio alla fine della gara.
Ci sono aziende che ogni anno mettono in gara l'agenzia:  il risultato è che ogni anno, per un paio di
mesi, restano senza agenzia e poi tutte le attività partono in ritardo.

I costi per le agenzie: quando partecipare alle gare contando sulla fortuna e' l'unico modo per
crescere e acquisire nuovi clienti, partecipare diventa una professione, un vero e proprio
side-business. Questo significa che l'agenzia che partecipa sistematicamente a tutte le gare
finanzia il new business con le parcelle che fa pagare ai clienti gia' acquisiti. Come un coniuge
che, invece di dedicarsi alla sua metà, passa buona parte del tempo a corteggiare a destra e sinistra.
Un comportamento che difficilmente è la base di un buon matrimonio, anche un matrimonio di interesse come quello fra agenzia e cliente.

Che altro dire? In aziende in cui la cosa più difficile e' decidere, la gara permanente è un altro dei metodi per decidere senza  assumersi responsabilità: infiniti test per  decidere le caratteristiche dei prodotti, infiniti focus group per le campagne pubblicitarie, e gare per assegnare anche il piu'
piccolo incarico pubblicitario. Come dice un direttore creativo della filiale italiana di una
grande agenzia internazionale, ma allora diamoli alle casalinghe dei focus group gli stipendi dei marketing manager. E per scegliere l'agenzia, facciamo un tiro ai dadi. --


(Articolo scritto nel 2002 per la newsletter IMDM Internet Marketing Direct Marketing.)

venerdì 28 novembre 2014

Lista ADCI. Un po' brusca, come chiusura

Botte da orbi ma anche discussioni profonde
Il 27 novembre, senza preavviso, è stata chiusa la Lista Adci dell'Art Directors Club Italiano.

Si trattava di una lista di discussione attiva in vari modi dal 1999, attivata in modo bislacco all'epoca (furono arruolati tutti gli indirizzi e-mail di tutti i soci, molti dei quali sorpresi dal fatto di ricevere messaggi in circolare) e chiusa in modo altrettanto bislacco oggi. Qui il link defunto.

È vero che le liste di discussione via e-mail sono una forma di "social network" un po' superata. Però comprendeva circa 300 iscritti (non ho modo di verificare perché da ieri non posso accedere alla lista) e un archivio di discussioni che poteva o potrebbe essere interessante studiare o analizzare in futuro. A queste discussioni avevano partecipato alcuni dei più grandi pubblicitari italiani, fra cui Enzo Baldoni, Franco Moretti, Emanuele Pirella (in ordine alfabetico).

Fra blog, Facebook, Linkedin, Twitter e altro, era per certi versi l'unico spazio di discussione interno del Club sempre accessibile 24 ore su 24. Oggi l'unico spazio accessibile a tutti i soci è l'assemblea annuale, (accessibile principalmente solo per chi si trova a meno di tre ore di treno da Milano). Gli altri o non sono privati, o non sono spazi dove la discussione può avvenire in modo approfondito (e archiviabile): su Twitter, con tutta la simpatia che ho per questo mezzo, non puoi approfondire niente. Su Facebook, con tutta la simpatia che ho per questo mezzo, se vuoi ritrovare qualcosa che hai visto anche solo tre giorni fa, è un'impresa.

Come avrebbe potuto essere gestita questa chiusura? 
Secondo me in modo meno brusco. Prima di tutto con un adeguato preavviso: almeno un mese. Secondo: lasciando comunque la possibilità di consultare i messaggi archiviati agli iscritti. Terzo: consentendo una discussione interna su come eventualmente migrarla o portarla avanti. La mailing list avrebbe potuto essere migrata in un gruppo Facebook (attualmente esiste un gruppo Facebook ADCI, ma molti iscritti della lista non ne fanno parte).  Avrebbe potuto anche essere staccata dall'Adci per essere affidata a un'autogestione. Dopo tutto, bene o male, era abbastanza attiva.

Invece cancellarla da un giorno all'altro senza discussione pubblica è stata una decisione calata dall'alto, decisamente poco social e poco democratica. Ho già visto altri due casi simili in ADCI negli ultimi 10 anni: la "terminazione" del Capitolo Freelance ADCI, e la chiusura, semplicemente portandolo offline, del primo blog ADCI. Entrambi furono episodi poco simpatici.

Mah.

venerdì 30 maggio 2014

Lavoro gratuito, volontariato e reddito di cittadinanza


Ha suscitato qualche critica, giustificata, la campagna per raccogliere volontari per l'Expo 2015. Alcuni alti dirigenti che si occupavano dell'organizzazione dell'evento sono indagati per tangenti e corruzione e contemporaneamente si cercano "migliaia di giovani" come volontari non retribuiti per collaborare? La perplessità su come vengono distribuite le risorse in Italia è giustificata, soprattutto se si tiene conto del forte squilibrio retributivo - tanto nel pubblico quanto nel privato - fra dirigenti, pagati più della media europea da una parte, e "risorse umane": impiegati e operai in Italia sono pagati meno della media europea.
Secondo me bisognerebbe fare una riflessione su lavoro gratuito e reddito di cittadinanza, provando a mettere insieme le due cose. Nel mondo moderno stanno emergendo sempre di più attività e lavori (anche di semi-volontariato) che sono difficilmente quantificabili e monetizzabili. Quanto vale occuparsi della pagina Facebook di una onlus o del nido comunale? Quanto vale fare il volontario per l'Expo (iniziativa pubblica), per lo Smau (iniziativa privata) oppure per una fiera di beneficenza (iniziativa senza fini di lucro)?
Se esistesse un reddito di cittadinanza, questo potrebbe coprire (in modo parziale e forfettario) le innumerevoli richieste di lavoro e contributo gratuito che emergono sempre di più nel mondo reale e nel mondo reale-digitale.
Inoltre semplificherebbe moltissimi alcuni tipi di rapporto di lavoro sporadico o non continuativo con ricadute sociali positive. Sintesi: chi ha un lavoro può fare il volontario nel suo tempo libero, chi non ha un lavoro può fare il volontario essendo tutelato e finanziato dal reddito di cittadinanza (e fare il volontario può essere un modo per dare qualcosa in cambio alla società, per la tutela del reddito di cittadinanza).
Posted via Blogaway

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mercoledì 23 aprile 2014

I pericoli dell'iper-tecnologia.

Può accendere il gas.
Molti hanno paura della tecnologia e definiscono il mondo attuale come "iper-tecnologico".

Il mondo è ipertecnologico sin dai tempi dell'invenzione della ruota o della scoperta del fuoco. Da migliaia di anni, più volte al giorno miliardi di persone compiono reazioni chimiche accelerate dal fuoco per preparare da mangiare. Cucinare due uova al tegamino non è molto meno tecnologico di usare uno smartphone.  In fondo, il fuoco non è ben più pericoloso di un telefonino?

venerdì 7 febbraio 2014

Destra, sinistra o centro, noi italiani siamo sempre dei pasticcioni.


Il problema italiano non è governa questo o governa quello. È la profonda metastasi di burocrazia, arretratezza culturale e disorganizzazione che riguarda tutti, cittadini compresi. È un problema che riguarda tanto la classe dirigente quanto la popolazione in generale. Per dimostrarlo basta pensare alle nostre aziende pubbliche, sempipubbliche o ex pubbliche: poste, aerei, treni, infrastrutture. Con rare eccezioni offrono servizi più costosi della media europea, a livelli inferiori alla media. Oppure basta pensare al delirio dell'Imu. Ma anche le aziende private spesso offrono esempi di burocrazia interna paradossale e intricata. Avete mai provato a cambiare operatore telefonico oppure disdire la pay tv? O mandare un messaggio e-mail a una PMI per chiedere un'informazione? O chiedere informazioni in un negozio quando "non c'è il titolare"? Ma in Italia i vertici sono quelli più disastrosi.

L'ultimo esempio di sfrenata inettitudine politico-istituzionale: i cosiddetti incentivi per l'editoria. Sono un esempio particolarmente significativo, simbolico, emblematico.

Nati come incentivi per favorire la lettura, pieni di lodevoli eccezioni, contenevano già all'origine dei notevoli difetti. Dopo due mesi di lavoro stanno diventando questo:

  1.  Il Governo Letta non ha i soldi per finanziare un simile progetto di diffusione della cultura e deve attendere i fondi europei. 
  2. Nel frattempo il tono liberale dell’iniziativa si spegne diventando un incentivo fiscale non per i cittadini lettori ma per i librai 
  3. L’iniziativa viene per ora convertita in un voucher per i libri scolastici così organizzato:
  •   a) L’ammontare del singolo voucher non si sa, verrà concordato fra Ministero dell’Istruzione e dello Sviluppo Economico sulla base della popolazione studentesca 2013-2014 
  •  b) Si dovrà presentare un ticket, registrato e timbrato dai presidi 
  •  c) Col ticket gli studenti (solo delle superiori, ah anche parificate ovviamente) potranno ricevere uno sconto del 19% sui libri d) Solo nelle librerie che avranno aderito all’iniziativa dopo aver chiesto un credito di imposta del 19%. (ricostruzione schematica tratta da Manteblog di Massimo Mantellini; qui la notizia dal Sole 24 Ore)
E il finale è ancora da scrivere.
In questa tragicommedia non si può individuare la solita dinamica generalmente autoassolutoria "è colpa della destra-è colpa della sinistra- è colpa delle lobby-è colpa dell'Europa-è colpa dei giudici comunisti-è colpa dei padroni-è colpa delle multinazionali". 

È proprio l'ennesima dimostrazione di inettitudine ideativa-politica-gestionale-organizzativa non tanto del singolo esponente politico (che nella fattispecie, secondo me comunque non è un genio), quanto di tutto il processo burocratico-legislativo.

mercoledì 15 gennaio 2014

Non c'è lavoro? Non vieni pagato? Tre problemi e Tre soluzioni

Il lavoro fisso non è l'unica forma di lavoro

La campagna #CoglioniNO ha generato una discussione sul lavoro creativo. Benvenuta consapevolezza, però va anche detto e compreso che il problema è molto più complicato della semplice invidia dell'idraulico ben pagato.


  1. NON è una questione di immagine di categoria. Nel luogo comune tutte le categorie sono sputtanate per definizione: i medici ammazzano i pazienti, gli avvocati sono azzeccagarbugli, i notai sono passacarte, i chirurghi sono macellai, i commercianti sono imbroglioni, eccetera. Non è promuovendo l'immagine del creativo che "i creativi" verranno tutti rispettati. Ogni singolo professionista deve guadagnarsi la fiducia dei suoi clienti. E infatti i medici, gli avvocati ecc sono come descritto, ma ognuno di noi ha fiducia del suo medico, del suo avvocato, ecc.
  2. Il lavoro è uno e trino. Esistono - grosso modo - TRE figure nel mondo del lavoro. Tutte e TRE lavorano, ma hanno loro specificità: L'imprenditore; il Freelance-libero professionista; il dipendente. La logica del "lavoro gratis" è diversa per le tre figure e NON è "tutto-buono" o "tutto-cattivo" in tutti e tre i casi. L'imprenditore e il libero professionista, per esempio, NON possono pensare di essere "equamente retribuiti" per ogni singola attività che svolgono. Quella è una logica da lavoratore dipendente, il quale ha diritto a un salario, e ha diritto ad alcune tutele, ma in genere non partecipa ai vantaggi del rischio d'impresa (con notevoli e patologiche eccezioni in Italia, dove spesso i dirigenti - tanto nel pubblico quanto nel privato - sono strapagati in proporzione al loro contributo lavorativo, pur essendo dipendenti in tutto e per tutto). Imprenditore e libero professionista spesso devono investire del lavoro gratuito per acquisire un nuovo cliente, e talvolta devono correre il rischio di non essere pagati, talvolta anche per dolo del cliente. Per quel che riguarda il lavoratore dipendente e parasubordinato, sposo quanto scritto qui. Per imprenditori e liberi professionisti le cose sono un po' diverse, anche se resta fermo un diritto morale a un compenso per il lavoro, ed è immorale che cliente e fornitore cerchino di fregarsi a vicenda. Ma non bisogna confondere lavoro gratis e lavoro a scrocco (per esempio la piaga delle gare non retribuite) con networking, tentate vendite, proposte speculative e altro. 
Le soluzioni.

In Italia c'è un problema di sistema. Gli imprenditori e le aziende pubbliche sono vessati (le aziende pubbliche auto-vessate) da miriadi di costi impropri o ai massimi livelli europei: energia, trasporti, pressione fiscale, burocrazia, superstipendi ad alcune categorie eccessivamente protette (in particolare i dirigenti di ogni livello). Spesso fornitori e lavoratori non tutelati sono i soli costi facilmente comprimibili. C'è un problema di cultura. Gli imprenditori italiani non sanno cosa sia il marketing (qui la colorita e divertente testimonianza di un venditore, probabilmente la figura aziendale più pragmatica che esista), figuriamoci valorizzare chi "fa i disegnini" o "scrive sul Web". C'è un problema di consapevolezza di categoria ma anche di consapevolezza individuale. Chi fa il creativo deve imparare a fare i preventivi e a vendere il suo prodotto-servizio. L'aspetto commerciale della professione viene pesantemente sottovalutato da tutte le scuole, università e accademie che conosco. 

Il problema di farsi pagare, chi più chi meno, ce l'hanno anche i notai, gli idraulici e gli architetti, non solo i creativi. Persino le banche, con tutte le tutele che hanno, possono avere il problema di farsi pagare mutui e prestiti. Inutile quindi invidiare l'erba del vicino.

La soluzione NON è e NON può essere solo esterna ("Lo Stato che non ci tutela"; "La Costituzione"; "Il sindacato", "L'Albo professionale"), ma dipende anche dal miglioramento delle proprie capacità personali e professionali. Bisogna lavorare su TRE fronti:

  1. Politicamente, sul Sistema Italia;
  2. Politicamente, sulla consapevolezza di categoria (con attività Sindacali e Associative, due tipologie diverse di attività di categoria)
  3. Personalmente, sulla crescita professionale e di consapevolezza personale.
Il punto 3 non va sottovalutato perché è quello che, a livello individuale, è il più accessibile a tutti.

martedì 7 gennaio 2014

Violenza sul Web.


I giornalisti italiani, i commentatori e i politici con più di cinquant'anni e spesso nessuna esperienza di Internet hanno ragione: dilaga la violenza sul web. Ecco un esempio: uno scontro a fuoco con insulti e invocazione alla morte. Il brevissimo filmato è molto drammatico e si consiglia la visione solo a chi non è eccessivamente sensibile.