mercoledì 8 maggio 2013

Poste italiane: paghi in anticipo per non avere nessun servizio


La disorganizzazione italiana è un cancro diffuso a tutti i livelli, dall'alta dirigenza all'impiegato allo sportello.

Normalmente acquisto una ventina di francobolli per lettera per averli sempre sottomano se devo spedire qualcosa.

Ai primi dell'anno le Poste Italiane hanno cambiato tariffa, da 0,60 a 0,70, ovviamente con minima comunicazione agli utenti.

Altrettanto ovviamente, i francobolli da 10 centesimi per integrare i francobolli sono introvabili, dai tabaccai che ho visitato, e all'ufficio postale. Per i dirigenti di Poste Italiane è troppo difficile prevedere l'esigenza di integrare i francobolli da 0,60 esistenti...

Dopo due tentativi a vuoto di acquistare francobolli da 0,10 per le mie esigenze, sono andato all'ufficio postale con i miei francobolli da 0,60 per chiedere di cambiarli in francobolli da 0,70, pagando la differenza.

L'impiegato ha rifiutato di cambiarli, sostenendo che "i francobolli non si cambiano". D'altra parte anche questa volta non aveva francobolli da 0,10 da vendere.

Quindi in sintesi:

  1. Se vuoi i francobolli da 10 centesimi, non possono venderteli perché non ci sono.
  2. Se vuoi cambiare alcuni francobolli da 0,60 non puoi farlo, perché "i francobolli non si cambiano" (ma in passato, in altri uffici postali me li avevano cambiati...).
  3. Se spedisci una busta con affrancatura da 0,60, te la mandano al macero (ma quando io ho comprato i francobolli, era quella la tariffa, quindi il diritto di spedire una busta da 20 grammi io l'avevo acquistato e pre-pagato...)
Insomma, paghi in anticipo per non avere nessun servizio.

È una piccola cosa, ma significativa della colossale disorganizzazione dei servizi pubblici italiani.

Conclusione: i dirigenti non pensano a come risolvere il problema dei francobolli già in circolazione quando cambiano le tariffe, gli impiegati fanno muro di gomma nei confronti degli utenti. Come al solito, c'è un'alta percentuale di incompetenti dai vertici alla base.

sabato 4 maggio 2013

"Femminicidio": forse più un problema di età che di genere. Alcune riflessioni sui dati disponibili, e domande per capire meglio.

Studiamo bene i dati.

Premessa: il 90% dei reati violenti sono commessi da maschi fra i 18 e i 45 anni, quindi questo non è un tentativo di sviare l'attenzione, fare benaltrismo o minimizzare. Il problema della violenza è un problema chiaramente maschile con il 90% di responsabilità maschile: è evidente anche dal semplice confronto delle popolazioni carcerarie maschile e femminile.



Però sul tema del femminicidio o femicidio secondo me è opportuno fare delle considerazioni e fare delle domande a cui qualcuno - per esempio sociologi, criminologi e giornalisti - dovrebbe rispondere con analisi e dati, e non con tesi ideologiche.


  1. Secondo alcune stime i "femminicidi", o femicidi, in Italia nel 2012 sono stati 124 (secondo altre sono stati 127). Ovvero circa 100 uomini hanno ucciso 124 donne (in 21 casi l'autore non è stato individuato, in altri un uomo ha ucciso più di una donna), con diversi moventi che però la ricerca non indica. Possiamo presumere il movente sessuale (omicidio in conseguenza di uno stupro che dal male è finito al peggio), la gelosia sessuale e affettiva, la frustrazione per un corteggiamento respinto, ma anche questioni economiche e di eredità. Domanda: nel caso, che c'entrano eventuali questioni ereditarie o economiche con la "violenza di genere"? L'analisi statistica dei moventi è importante per la valutazione dell'emergenza, non basta contare tristemente i cadaveri per un'analisi del fenomeno. Se il femminicidio è l'uccisione di una donna in odio al genere sessuale, la presenza di eventuali moventi di carattere economico cambia il quadro.
  2. Quanti sono gli omicidi in cui donne uccidono uomini? Per valutare pienamente l'emergenza, occorrerebbe fare questo confronto. Per quel che ne so, i delitti "donna uccide uomo" nel 2012 sono stati circa una cinquantina. Se questi dati, che purtroppo sono costretto a citare a memoria, sono giusti, propagandisticamente si potrebbe dire che "i femminicidi sono il 200% rispetto agli omicidi "donna-uccide-uomo" ma statisticamente, sulla popolazione italiana, la differenza in realtà è minima: su 60 milioni di persone i "femminicidi" colpiscono circa lo 0,02% della popolazione mentre gli omicidi "donna-uccide-uomo" riguardano circa lo 0,01. Statisticamente si tratta di numeri entrambi molto piccoli, che possono cambiare - e di molto - semplicemente contando meglio. In meglio o in peggio, beninteso: che sia favorevole o contrario a questa o quella tesi, il confronto fra "femminicidi" e "omicidi donna-uccide-uomo" va tassativamente fatto, perché è dalla differenza fra le due grandezze che emerge l'eventuale "emergenza". E il confronto non deve essere solo numerico, ma anche di analisi sociale del retroterra di vittime e colpevoli: per esempio un fattore importante è anche il ruolo di militari ed ex militari, oppure la disponibilità di un porto d'armi: anche la presenza di armi in casa è un fattore importante nel facilitare delitti violenti, particolarmente quando il movente è passionale oppure il delitto è conseguente a uno scatto d'ira. In ogni caso, il fenomeno donna uccide uomo non è inesistente e va documentato anch'esso.
  3. Il "femminicidio" viene descritto come un'"emergenza", addirittura parlando in questo caso non di 124 "femminicidi" ma di 113 "in meno di un anno", di cui 73 donne uccise dal partner (ma non si dice il movente, che non è secondario). Secondo dati Istat i morti per incidenti stradali in un anno in Italia sono circa 3500-4.000 (trenta volte di più). Guardando una tale sproporzione fra le due grandezze, secondo me viene spontanea la domanda: come mai il "femminicidio" è un'emergenza mediatica mentre i morti sulle strade non lo sono? Negli incidenti stradali muoiono solo uomini?
  4. I morti sul lavoro sono circa 1500 l'anno in Italia, quattro uomini e una donna al giorno contro una donna uccisa ogni tre giorni nel caso del femminicidio. Stessa domanda del punto 3: come mai i 1500 morti sul lavoro (dieci volte i femminicidi) non sono un'emergenza mediatica? Anche qui muoiono solo uomini?
  5. Poi: i colpevoli chi sono? Ok, sono maschi, ma... Sono ingegneri, giornalisti, sacerdoti, artigiani, medici o insegnanti? Oppure fra i colpevoli di "femminicidio" c'è una percentuale significativa (superiore alla media normale) di mafiosi, 'ndranghetisti, pregiudicati, persone in situazioni di degrado sociale oppure immigrati con difficoltà di adattamento alla cultura europea? Nel primo caso, si tratta di un fenomeno preoccupante: uomini "normali", integrati socialmente, che uccidono la moglie, amante, fidanzata, o la donna incontrata per caso: la tesi del delitto di genere diventa giustificata. Nel secondo caso, si tratta di un problema più generale di criminalità comune, di degrado sociale o, infine, di integrazione sociale e culturale di minoranze di migranti (i dati della ricerca citata all'inizio indicano il 15% di stranieri fra i colpevoli: una percentuale non altissima, ma comunque più elevata rispetto alla popolazione di immigrati residente in Italia). 
Fra l'altro, va sottolineato un dato interessante che emerge proprio dalla ricerca citata all'inizio: l'età media degli assassini: 47,3 anni (è un dato elaborato da un'associazione femminile di sostegno).
È un'età media molto elevata per dei crimini violenti, che denota più un problema generazionale che un problema di genere, ipotesi di lavoro che a mio parere è giustificata anche dall'età media molto elevata delle vittime: 46,9 anni. L'età degli assassini è molto superiore all'età media di chi commette normalmente crimini violenti, e anche l'età delle vittime è elevata. Insomma, stando a questi dati, gli uomini che ammazzano le donne in media NON sono giovani: sono anziani e persone di età matura.

Questo tipo di analisi sociologica su vittime e colpevoli andrebbe fatta e, dato il piccolo numero di casi, è grave che non venga fatta.

Aggiornamento: il 12 maggio 2013 è uscito questo post di Fabrizio Tonello, docente di Scienze Politiche a Padova, che sostanzialmente conferma la necessità di indagare meglio i numeri dei femminicidi.

Aggiornamento: qui un'interessante analisi dei dati con i confronti fra Italia e paesi europei.

venerdì 3 maggio 2013

Laura Boldrini, criminalizzatrice del web, ennesimo nome di un lungo elenco bipartisan

Ma questi politici, uomini e donne, sanno di cosa parlano, quando parlano di Internet?
Laura Boldrini: Favorevole a leggi speciali su Internet

Laura Boldrini in questa intervista a Concita De Gregorio chiede leggi speciali per il Web. Non è il primo esponente delle Istituzioni a farlo e non sarà l'ultimo, basta ricordare il caso della cosiddetta "Legge bavaglio" , legge presentata più volte in varie versioni dal governo Prodi e dal governo Berlusconi, e di cui i primi firmatari furono Clemente Mastella e Giuliano Amato, per poi ricomparire anni dopo a firma di Angelo Alfano. Non esattamente i nomi dei personaggi più illuminati e progressisti della Repubblica Italiana.

La domanda a cui dovrebbe rispondere, e qualche giornalista dovrebbe porle e incalzarla, è questa: è in mala fede, oppure non capisce come funziona Internet? È una domanda che andrebbe fatta anche a numerosi suoi colleghi, a destra e a sinistra, a cominciare da Maurizio Gasparri, autore di una legge sul sistema radio televisivo che ha fortemente penalizzato, negli anni, lo sviluppo e la diffusione di Internet in Italia spostando investimenti pubblici su una tecnologia rudimentale e già obsoleta come il digitale terrestre televisivo. Oppure a Giuseppe Pisanu, autore di un decreto legge anti-terrorismo che ha penalizzato la diffusione del wi-fi libero in Italia e che lo stesso Pisanu, pochi anni fa, ha ritenuto inefficace.

La "minaccia" è già un reato, e online generalmente è PIU' FACILE da perseguire che offline, perché online restano un sacco di tracce. Lo stesso articolo lo dice: A ciascuna minaccia corrisponde un nome e un cognome, un profilo Facebook, l'indirizzo di una pagina Internet.  E quindi? Di che leggi speciali ha bisogno? Anche il presunto anonimato del Web, se un utente non è più che esperto tecnicamente, è spesso più illusorio che reale.

Chi chiede leggi speciali per arginare i presunti eccessi di Internet (un'infrastruttura che esiste ormai da trent'anni e solo in Italia viene ancora considerata una strana novità) o è ignorante, o è in mala fede, o non ha capito come funziona Internet.
Maurizio Gasparri: anche lui favorevole a un controllo su Internet

Aggiornamento, 1: Laura Boldrini ha fatto parziale retromarcia, usando anche la tecnica del "sono stata fraintesa". Ottime controargomentazioni alla retromarcia-chiarimento-smentita qui. Mi limito ad evidenziare un'osservazione che ho fatto anche io: se Concita De Gregorio non si è inventata questi concetti, Laura Boldrini ha detto:
"So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela. Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web."

Se una persona dice: so bene che la questione del controllo del web è delicatissima, ma non per questo non possiamo porcela, ed è il presidente della Camera, sta parlando di legge, di provvedimenti legislativi, o di qualcosa del genere, e comunque di controllo. Se due giorni dopo smentisce di aver parlato di leggi speciali, sta facendo la furba con le parole. Oppure, altra ipotesi, ha scoperto Internet l'altro ieri e sta facendo discorsi naif.

Aggiornamento, 2: La lotta contro la violenza sul web comincia a dare i primi risultati: la polizia postale indentifica un pericoloso violento che ha postato una foto di Laura Boldrini (Huffington Post). Qui il racconto di prima mano del blogger indagato (da cui risulta un po' di esagerazione giornalistica nei resoconti dei giornali "seri").