mercoledì 28 aprile 2010

Idea: tassare la bicicletta per sovvenzionare l'auto...

Il presidente della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) propone una tassa sull'uso di Internet per sostenere l'editoria tradizionale in crisi.
La ragione della proposta Fieg sarebbe compensare in parte chi produce i contenuti che vengono letti online. Ma che logica è? Cosa danno i giornali di carta a Internet? Chi obbliga la Repubblica o il Corriere a realizzare dei siti online che peraltro spesso non seguono le logiche di internet? (non linkano, raramente correggono gli errori, generalmente tengono a distanza i lettori). I giornali tradizionali spesso si sono affacciati a Internet di mala voglia, riciclando contenuti prodotti e già pagati altrove, cercando di imporre modelli monopolistici o esclusivi, in certi casi anche diffamando e demonizzando la Rete e chi la usa.

Anso (Associazione Nazionale Stampa Online) boccia l'idea della "minitassa temporanea", osservando che fra l'altro la stampa cartacea gode già adesso di notevoli sovvenzioni, mentre gli editori che lavorano solo online non ricevono un centesimo di sostegno. Non si capisce per quale motivo aggiungere costi e tasse, per quanto piccole, alla navigazione in rete allo scopo di sovvenzionare chi riceve già sovvenzioni dallo stato.


Inoltre, dal punto di vista distributivo, i due problemi storici dell'editoria italiana sono sempre stati: l'inefficienza dei servizi postali (fra i più lenti d'Europa), inefficienza che ha sempre limitato lo sviluppo del mercato degli abbonamenti; il collo di bottiglia delle edicole, che ha sempre impedito o scoraggiato lo strillonaggio e la vendita di giornali presso altri punti vendita, perseguendo quando possibile una logica di monopolio distributivo.

La Fieg dovrebbe occuparsi seriamente di quei due problemi, invece di cercare ulteriori sovvenzioni. Ma forse, avendo perso tempo nei quarant'anni appena trascorsi, pensano che la strada delle sovvenzioni sia l'unica facilmente percorribile per gente con poco coraggio e poca fantasia.

martedì 27 aprile 2010

Posta Elettronica Certificata, marcetta trionfale

Dopo diversi tentativi, il sito della Posta Elettronica Certificata gentilmente offerta dal governo, risponde. È possibile compilare la prima videata con i dati anagrafici. Peccato che, appena cliccato invio, risponde un messaggio d'errore:
  • Errore durante l'esecuzione dell'operazione
  • Si è verificato un errore di sistema. Riprova più tardi.

Altri utenti sembrano più fortunati o più preparati di me.
A quanto pare sono riusciti ad attivare la casella (forse attraverso un provider commerciale, invece che con il servizio gratuito) ma l'ente pubblico con cui vogliono corrispondere non è preparato ad usare la posta elettronica certificata...

È lungo il percorso dell'innovazione, in Italia.

lunedì 26 aprile 2010

Sindacato Miliardari - Le meraviglie della Siae

Pochi sanno che la Siae, Società Italiana Autori ed Editori -- uno di quegli strani "sindacati" corporativi che riuniscono insieme quelle che dovrebbero essere controparti (Autori & Editori) -- chiede e incassa i diritti per l'esecuzione dell'inno d'Italia prima delle cerimonie sportive.
La cosa ha dell'incredibile, soprattutto se si pensa che l'Inno di Mameli, per definizione, dovrebbe essere patrimonio nazionale e l'eventuale esibizione dovrebbe essere incoraggiata in ogni modo, invece che penalizzata da una procedura burocratica volta ad incassare un compenso variabile da alcune decine di euro fino a 290 euro per una partita nazionale.

La Siae, che a parole difende la cultura e provvede che i poveri autori delle opere dell'ingegno ricevano il loro compenso, più o meno per la musica funziona così: tutti gli incassi delle esecuzioni che non possono essere esattamente determinati (le vendite dei dischi sono determinate con buona approssimazione; le esecuzioni pubbliche di musica varia attraverso radio, filodiffusione, impianti audiovisivi posti in locali pubblici invece no), compreso il famoso equo compenso sui supporti magnetici, vengono divisi forfettariamente fra tutti gli autori, detratti i costi di gestione della Siae stessa, in proporzione alle loro vendite.

Questo significa questo (semplificando, perché i criteri effettivi sono molto complessi): la Siae incassa i soldi dell'esecuzione dell'Inno di Mameli. Parte di questi soldi servono a coprire il funzionamento della Siae stessa (e gli stipendi dei suoi dirigenti). Siccome in genere non è possibile identificare chi sono esattamente gli esecutori aventi diritto di quella particolare esecuzione dell'inno, il resto viene diviso in proporzione alle vendite fra tutti gli autori iscritti alla Siae: grandi parolieri, autori televisivi, cantanti famosi. In pratica, in questo caso, soldi che vengono chiesti ad associazioni sportive non profit per trasferirli principalmente a qualche centinaio di milionari in euro, già ricchi dai diritti delle vendite dei loro dischi, o già più che benestanti grazie al loro lavoro di autori tv. Qualche briciola agli altri.

Lo stesso meccanismo vale per i soldi incassati per l'equo compenso, la tassa su cd e dvd vergini, dishi rigidi, riproduttori Mp3, iPod, e marchingegni audiovisivi vari. Una vera e propria spartizione fra alti dirigenti (che derivano il loro potere dal fatto di amministrare queste enormi somme di denaro) e autori già ricchi.

Posta elettronica certificata: si parte con il classico disservizio

Oggi parte una "fondamentale" e "rivoluzionaria" innovazione tecnologica e normativa della Pubblica Amministrazione Italiana: la Posta Elettronica Certificata (PEC) gratuita per tutti i cittadini italiani. Peccato che il sito governativo che deve fornire il servizio per il momento non funzioni. Strano che, auspicando almeno ventitre milioni di utenti a regime, non abbiano previsto un boom di accessi il primo giorno... Si poteva ipotizzare che qualche centinaio di migliaia di persone volessero collegarsi, anche solo per curiosità o per valutare l'ipotesi di registrarsi.

La posta elettronica certificata potrà avere un effetto positivo nel far risparmiare un po' di soldi di spese postali ai condomini e ai commercialisti, ma per il momento sembra scontare i classici problemi delle innovazioni della Pubblica Amministrazione italiana:
  1. Rivoluzionario e avanzatissimo a parole;
  2. Unico al mondo (ma ci sarebbe da domandarsi perché: nessun altro paese europeo e forse mondiale per il momento sembra aver adottato o pensato di rendere obbligatorio uno strumento del genere), come molte delle bizzarrie normative italiane;
  3. Contraddittorio nella normativa (prima strumento obbligatorio per tutti, poi non più obbligatorio, poi nuovamente obbligatorio, infine definitivamente facoltativo perché l'obbligatorietà sarebbe in contrasto con le norme europee);
  4. Pedissequo nel pensiero progettuale: innoviamo trasferendo nel futuro le stesse cose del passato (esempio: per semplificare certe procedure non servono più i certificati? Vengono sostituiti non da una banale dichiarazione ma da un "auto-certificato": il certificato non lo devi più chiedere all'ente ma te lo prepari tu da solo. È un passo avanti, ma non è semplificazione). La posta elettronica certificata porta nel mondo virtuale la tendenza tutta italiana a volere certificati e documenti notarili per ogni attività, cercando sempre non la quadratura del cerchio ma la cubatura della sfera fra confusione normativa e puntigliosità formalistica.
  5. Anelastico nell'implementazione: si fa, si lancia, senza alcuna sperimentazione preventiva, senza una gradualità applicativa e senza una previsione dei flussi, come tanti provvedimenti, condoni, leggi e leggine che capitano fra capo e collo di cittadini e imprese, soprendendo per primi i dipendenti pubblici e le infrastrutture che dovrebbero farli funzionare.

Aggiornamento: oggi (27 aprile 2010) invece della pagina di errore, il sito governativo dà questo messaggio: "È stato raggiunto il numero massimo di connessioni. Riprova più tardi, grazie."

martedì 13 aprile 2010

Critichi un'orchestra? 500.000 euro di risarcimento dei danni

I paradossi di leggi e di una cultura giuridica non sempre orientata alla libertà di parola e di stampa: un critico musicale viene condannato a pagare 500.000 euro per commenti critici (peraltro autorevoli) espressi da un direttore d'orchestra da lui intervistato, e per i titoli dell'articolo ritenuti diffamatori (titoli che oltretutto non sono stati scritti da lui ma dalla redazione del giornale).

Spieghiamo meglio: il giornalista viene condannato per le dichiarazioni dell'intervistato e per i titoli che non ha scritto lui.

domenica 4 aprile 2010

I pericoli della segretezza

"Io non sono contro la segretezza in sé, ma succede sempre che la segretezza corrompa. Che ci siano persone con molto potere non è di per sé pericoloso: il pericolo è che ci sia segretezza nelle cose che fanno con quel potere. L'antidoto è una maggiore trasparenza."

Julian Assange, uno dei fondatori di Wikileaks, intervistato da Luca Sofri su Wired n. 14, aprile 2010

In altre parole, dove non c'è trasparenza non c'è democrazia.