giovedì 27 maggio 2010

Trenitalia non delude mai

Il treno delle 6.27 da Viareggio per Milano oggi si interrrompe a Pontremoli, per problemi alla linea. Naturalmente in stazione nessun avviso per i passeggeri, nessuna informazione su come comportarsi per andare a Milano visto che la linea che attraversa l'Appennino è interrotta. Solo l'enigmatico annuncio automatico "È in arrivo il treno 2036 delle ore 6.27 diretto a Pontremoli"... perché Pontremoli e non Milano, com'è scritto sul biglietto? E chi deve andare oltre Pontremoli cosa fa? Adesso che ci sono gli antipatici altoparlanti con la voce automatica, i capistazione non sono più capaci di dare un avviso a voce per informare i passeggeri?

Informare i viaggiatori è sempre l'ultima priorità di Trenitalia che incassa in anticipo i soldi dei biglietti ma non considera un suo impegno trasportare puntualmente e confortevolmente i passeggeri. E nel 2010 non ha ancora scoperto che l'informazione e la comunicazione fa parte del servizio ai clienti.

Naturalmente, nessun avviso neanche sul sito, dove, per scoprire qualcosa occorrono innumerevoli clic (home page sito istituzionale> news > news regionali > guarda la Toscana> poi guarda l'Emilia Romagna > poi clicca sulle diverse sottosezioni), per non scoprire nulla.

martedì 25 maggio 2010

Perché la Posta Elettronica Certificata (PEC) è una bufala

La Posta Elettronica Certificata è una bufala spacciata per innovazione. Meno fallimentare di Italia.it, il megaportale pseudoturistico bipartisan costruito anni fa e ricostruito in qualche maniera recentemente, è una delle tante pseudoinnovazioni (come l'F24 telematico) che fingendo di semplificare la vita al cittadino, cercano casomai di semplificarla alla Pubblica Amministrazione.
  1. Tanto per cominciare serve solo per comunicare con la Pubblica Amministrazione. Il governo con tanta fanfara ti offre una casella di Posta Elettronica Certificata, e poi scopri che è una casella incompleta: ufficialmente per non fare concorrenza ai fornitori privati, non può essere utilizzata per mandare "raccomandate digitali" al proprio commercialista, avvocato o amministratore del condominio. Serve solo per comunicare con gli enti pubblici.
  2. Inoltre c'è il trucco: se la usi UNA volta per comunicare con la Pubblica Amministrazione, da quel momento in poi la Pubblica Amministrazione ha facoltà di usare solo quel canale per comunicare con te, con l'aggravante che, una volta che la comunicazione viene depositata nella TUA casella, questa viene considerata RICEVUTA. Anche se non scarichi mai la posta, se sei in vacanza, se hai dimenticato la password, se ti sei dimenticato di aver aperto la casella per curiosità, se nel frattempo sei morto e i tuoi eredi non hanno l'accesso alla casella.
  3. Infine, è una complicazione abbastanza inutile, la tipica complicazione all'italiana, come dimostra in questo post Guido Scorza: ad esempio in Francia quando vuoi comunicare con un funzionario pubblico, semplicemente cerchi tutti i suoi recapiti, fra cui l'e-mail, e se gli vuoi mandare un messaggio gli puoi scrivere con la normale posta elettronica, senza dover necessariamente attivare una casella ad hoc dalla tecnologia particolare. In Italia non solo è molto difficile trovare nomi e recapiti dei funzionari pubblici, ma questi hanno ancora la mentalità per cui "non sono tenuti a rispondere al telefono". Per cui, prima o poi, il cittadino diventerà "tenuto" ad armarsi di Posta Elettronica Certificata per semplificare la vita ai funzionari. Da notare che in nessun paese europeo esiste uno strumento analogo.
Insomma la Posta Elettronica Certificata è l'ennesimo prodotto dell'Ucas, Ufficio Complicazione Affari Semplici, uno dei dipartimenti più produttivi della Pubblica Amministrazione Italiana.

sabato 1 maggio 2010

"Il Fatto" e "il Manifesto": utili per il primo, solidarismo per il secondo

Il Fatto Quotidiano ha pubblicato nella sua edizione cartacea del primo maggio i risultati del suo bilancio 2009. In soli tre mesi di attività ha generato utili per circa due milioni di euro. Di questi una quota sarà distribuita agli azionisti, e una quota analoga andrà ad aumentare il capitale sociale.

Il caso del Fatto Quotidiano dimostra che è possibile fare informazione indipendente senza necessariamente contare su sovvenzioni pubbliche, e senza dover contare su padrini pubblicitari (molte testate italiane vivono anche grazie a una combinazione di fondi pubblici e di contratti compiacenti di concessionare pubblicitarie amiche).

Invece di invocare con riflesso condizionato le provvigioni per la stampa "a difesa del pluralismo" e il solidarismo dei lettori ogni due o tre anni, Il Manifesto fa bene a studiarsi la lezione, così come, da diversi anni, avrebbe dovuto studiare con attenzione anche gli aspetti di marketing dei casi di Radio Popolare e del blog di Beppe Grillo.

Infine, è assurdo che in Italia i quotidiani vengano finanziati con soldi pubblici, col risultato che i finanziamenti pubblici aumentano gli utili delle testate commerciali e consentono di vivacchiare testate che non hanno mercato a parte l'autorefenzialità politica (e mi riferisco a diverse testate di partito o pseudo-tali).